In un’Italia che riparte, quando toccherà davvero alle università? Anche i nostri Atenei devono riaprire le loro porte, perché il diritto allo studio vive di luoghi (e di libri) a cui non possiamo rinunciare.
Con l’allentamento del lockdown, a partire dal 3 giugno abbiamo assistito a una graduale riapertura del Paese. Nel rispetto delle norme vigenti, con l’impiego delle misure di distanziamento sociale che abbiamo imparato a conoscere, bar, musei e ristoranti stanno aprendo di nuovo i battenti; dal 15 giugno anche cinema e teatri al chiuso hanno ripreso le loro attività, perfino le discoteche potranno ritornare a funzionare in estate. Si parla, insomma, di riavviare tutto, o meglio quasi tutto. Perché nei fatti, purtroppo, c’è un grande assente: l’università.
Ma che ne è dei giovani nel dibattito pubblico di queste settimane? Dov’è lo slancio alla riapertura quando si parla di università? Non si dovrebbe provare ad applicare tutte le regole necessarie al fine di favorire al più presto una riapertura, almeno parziale, di biblioteche e spazi studio in università?
Questi non sono servizi secondari o accessori. Lo studio universitario è fatto di scambio, di interazione, anche di amicizia; l’università è un insieme di rapporti, la sua stessa etimologia (universitas) insiste proprio su questa natura relazionale e plurale del sapere: le biblioteche, le aule studio, ma anche i chiostri e gli spazi aperti di molti campus sono il luogo fisico in cui si svolge questo scambio, in cui accade questa vita. E non è vero – e lo diciamo con il realismo di chi ne ha avuto esperienza diretta – che questa vita può essere sostituita da videochiamate su G-Meet o su Zoom, che pure sono state e rimangono un utilissimo strumento per impedire che essa si spezzi del tutto. Crediamo che non sia neanche vero che questa vita non possa riprendere in presenza già nella sessione estiva, nei suoi luoghi fisici, adattandosi, come tutte le altre attività, alle necessarie misure di distanziamento.
È vero che in molti Atenei il servizio prestito libri ha ripreso a funzionare dopo il 4 maggio, ma questo non è sufficiente a rispondere al più profondo bisogno degli studenti né esaurisce il ruolo che ricoprono le Università sui territori. Infatti, non tutti ne hanno potuto beneficiare. Sono rimaste escluse le migliaia di studenti pendolari che, quotidianamente, si spostano all’interno delle Regioni per raggiungere il loro Ateneo, ma anche i fuorisede che sono tornati nelle proprie case, a centinaia di chilometri dal luogo in cui studiano. Per loro non è logisticamente possibile raggiungere l’università solo per prendere un libro in prestito: senza riaprire gli spazi studio, il prestito libri è un servizio monco e incompleto, che lascia indietro tanti studenti. Pensiamo inoltre agli studenti lavoratori, per i quali è più difficileadeguarsi agli orari ridotti che le biblioteche hanno finora garantito anche per il servizio di prestito.
In questi mesi, nonostante la generale prontezza delle università nella gestione e nell’implementazione della didattica a distanza, la pandemia ha generato innumerevoli difficoltà e ristrettezze anche a moltissimi studenti, che hanno dovuto cambiare notevolmente le proprie modalità di studio. Si evidenzia in questo l’urgenza non solo culturale, ma anche pragmatica, che motiva la necessità di riaprire i luoghi dello studio. Non tutti possono permettersi di studiare a casa: molti non hanno uno spazio adeguato allo studio (o perché vivono in una casa piccola, con familiari e conviventi, affaccendati in altre attività, o perché non hanno a disposizione il materiale per preparare gli esami, o anche a causa della mancanza degli strumenti digitali).
Si crede che studiare a casa o studiare in biblioteca non faccia alcuna differenza, come se lo studio in un luogo idoneo non ne migliorasse la qualità, come se poter incontrare i propri compagni in biblioteca, studiando insieme, passandosi gli appunti e condividendo anche in due parole le proprie idee e i propri dubbi non facesse la differenza, come se leggere centinaia di pagine in pdf sullo schermo del computer fosse paragonabile al poter accedere ai libri. Come se lo studio fosse solo un meccanismo solitario di immagazzinamento di nozioni. Ma la nostra esperienza ci testimonia che vivere l’università non è e non può essere solo questo.
E noi non vogliamo dover aspettare settembre per ricominciare a vivere pienamente le nostre università. Se consideriamo che gli appelli degli esami si concentrano proprio in questo periodo estivo, ci accorgiamo che riaprire le biblioteche universitarie e gli spazi studio soltanto con il nuovo Anno Accademico sarebbe una grave lesione alla qualità dello studio e della vita universitaria. E – cosa ancor più grave – questa mancanza eroderebbe profondamente il diritto allo studio superiore, tutelato dalla Costituzione, perché aumenterebbe il divario tra coloro che hanno uno spazio adeguato per lo studio in casa e chi invece non lo ha, tra chi compra i libri per gli esami e chi invece li prende in prestito dalle biblioteche.
Nel DPCM dell’11 giugno 2020 si legge: «nelle Università , nelle Istituzioni di Alta Formazione Artistica Musicale e Coreutica e negli Enti Pubblici di ricerca possono essere svolti esami, tirocini, attività seminariali, di ricerca e di laboratorio sperimentale e/o didattico ed esercitazioni, ed è altresì consentito l’utilizzo di biblioteche, a condizione che vi sia un’organizzazione degli spazi e del lavoro tale da ridurre al massimo il rischio di prossimità e di aggregazione e che vengano adottate misure organizzative di prevenzione e protezione […]» (Art. 1, comma s). La riapertura di questi spazi è già prevista, perché rimandare a settembre l’applicazione della legge?
Chiediamo che i singoli Atenei lavorino per applicare al più presto le misure di distanziamento previste anche alle biblioteche universitarie e alle aule studio affinché possano riaprire parzialmente durante l’estate.
L’università è il luogo propulsivo in cui si realizza la dinamica della conoscenza, in cui si formano le generazioni chiamate alla costruzione del Paese di domani, dove si lavora per il futuro. La frequenza in università non finisce il 10 giugno come la scuola dell’obbligo, non è “ormai finita”.
Se in questo momento non si riparte anche dalla riapertura delle biblioteche e degli spazi universitari, da dove pensiamo di poter trovare le energie per la ricostruzione dell’Italia?
L’università non può più aspettare, apriamo adesso le aule studio e le biblioteche!