Oggi il nostro presidente, Guglielmo Mina, ha partecipato a un’audizione presso la VII Commissione Cultura della Camera, a Roma.
Riportiamo integralmente il suo intervento:
Comincio con una premessa di principio, che ritengo assolutamente fondamentale per poter adeguatamente inquadrare l’argomento su cui siamo chiamati ad esprimerci quest’oggi.
Più volte, anche proprio in questa sede, si è messo in luce il fatto che quello dell’università è un sistema da tempo in crisi. Da anni ormai, i fondi che vengono investiti in questo ambito, sono insufficienti a garantire a ogni giovane cittadino di accedere alla formazione universitaria, e ad accedere a una formazione universitaria di qualità. Carenza di personale docente, carenza di spazi, studenti idonei alle borse di studio ma che di borse di studio non ne vedono mai, tasse troppo alte: questi alcuni dei più conclamati punti di sofferenza della nostra università. Dunque, per potersi pronunciare in maniera adeguata sul tema specifico del cosiddetto “numero chiuso”, occorre sottolineare che in diversi casi si è dovuto arrivare a parlarne proprio a causa della miopia politica per cui l’università, negli ultimi anni e sotto le varie forze politiche che si sono susseguite, è stata messa al fondo della lista degli investimenti utili per questo paese. Ma perchè noi chiediamo che questo trend ormai più che decennale venga invertito? L’università, nella sua specifica natura di essere luogo di scambio e approfondimento della conoscenza, luogo apicale di formazione e educazione del giovane che si affaccia al mondo, ecco, riteniamo che proprio un luogo del genere, tra i frutti più fecondi della nostra cultura occidentale, sia il punto propulsivo da cui ridare energia e prospettive all’intero paese. la possibilità di accedere a un luogo che permette la formazione di soggetti critici, preparati, e quindi liberi, non è appena/solo un diritto che va garantito per permettere agli interessati di scegliere il percorso che più gli aggrada, quanto la risorsa da cui può generarsi una ricchezza impareggiabile per la società tutta: accompagnare i giovani ad approfondire la conoscenza dell’ambito che più li appassiona, si converte poi in una fonte di sviluppo culturale, economico, sociale, capace di generare movimento e novità laddove tutto sembrava fermo e destinato alla recessione e al degrado. Un rifinanziamento strutturale dell’università, aprirla a tutti, non solo è nobile, ma è anche altamente strategico.
Proprio alla luce di queste considerazioni diventa più semplice pronunciarsi sul tema del numero chiuso: chiudere le porte dell’università a chi potrebbe e vorrebbe goderne, è in linea di massima da evitarsi: non è né giusto, né utile. Perciò il nostro avviso sul tema, è che questo provvedimento debba essere il più possibile evitato attraverso un’accorto utilizzo delle risorse, e un loro incremento laddove non fossero sufficienti. Pertanto tutte le realtà locali che volessero prendere provvedimenti nella direzione di restringere il numero degli accessi a una qualsiasi facoltà, dovrebbero essere bloccati nella misura in cui la ragione non fosse la seria necessità di tutelare il rispetto del parametro dell’offerta potenziale. Nel caso in cui invece avvenisse una reale violazione del suddetto parametro, riteniamo che l’approccio più adeguato si quello di intervenire aumentando i finanziamenti, non tagliando posti per gli studenti.
Dovendo però pronunciarsi sul caso specifico del corso di laurea in medicina e chirurgia, occorre che questo discorso si moduli all’insegna di un criterio di realismo. Sarebbe infatti, ad oggi, impossibile pensare di garantire e l’accesso libero al corso di studi, e il rispetto del “diritto allo studio”: riteniamo infatti che “diritto allo studio” significhi non appena “diritto ad iscriversi”, quanto diritto a ricevere una formazione completa e adeguata all’ambito a cui si viene avviati. Non sono pensabili infrastrutture che consentano in Italia, a 60.000 persone, di intraprendere un percorso di studi in medicina e chirurgia, senza andare a ledere in maniera inaccettabile il criterio dell’offerta potenziale. Data questa condizione con cui non si può non scendere a compromessi, la modalità di approccio più adeguata al problema potrebbe essere quella di un aumento graduale dei fondi stanziati, al fine di aumentare il più possibile il numero di studenti di cui l’università può farsi carico, senza perdere in termini di qualità della didattica.
Questo tipo di soluzione però deve necessariamente essere armonizzata con un’altra caratteristica peculiare del percorso medico: e cioè quello di avere un canale pressochè necessario tra mondo della formazione e mercato del lavoro. Se infatti il numero di posti disponibili al primo anno di università, non venisse calcolato – cito dalla legge – tenendo conto del fabbisogno di professionalità del sistema sociale e produttivo, che nella fattispecie è il fabbisogno del SSN, quello che dovrebbe essere un canale di sviluppo si troverebbe a diventare un canale depressivo di migliaia di giovani che rimarrebbero così disoccupati. Proprio a questo proposito chiediamo che si facciano dei passi avanti nel rendere sempre più vicine all’equivalenza le proporzioni di studenti laureati e borse di specializzazione. In particolare rinnoviamo la richiesta di incrementare l’erogazione di queste ultime, sempre mantenendo come “criterio guida” il fabbisogno del SSN.
Infine, un punto che andrebbe adeguatamente considerato, è quello di un serio investimento nell’ambito dell’orientamento in entrata: il numero spropositato di iscritti al test, dice, in molti casi, di una poca chiarezza sulle propria personale propensione a un determinato ambito, e di una grande confusione sul reale significato che la scelta di un corso di studi comporta. Crediamo infatti che l’università e la scuola superiore debbano incrementare un impegno sinergico volto ad accompagnare lo studente, chiamato a scegliere una strada per il proprio futuro, a far sì che la scelta sia il più possibile orientata ad intraprendere un percorso che possa essere espressione e approfondimento delle doti e delle inclinazioni dello studente medesimo. troppo spesso la scelta, all’ultimo anno di scuola superiore, non è frutto di una adeguata riflessione su di sé, quanto piuttosto su falsi miti che la società costruisce. sulla stessa linea – e concludo – invito a ripensare il modello del test d’ingresso, facendo sì che possa avvicinarsi ad essere sempre più una verifica della propensione del singolo a intraprendere quello specifico corso di laurea, e che non sia invece uno scoglio, che valuta sulla base di criteri puramente nozionistici, e su cui potrebbero arenarsi giovani capaci e desiderosi di scrivere la storia di domani.